Vipal Antonio Gianfranco Gualdi

Squarci: silloge poetica

In Squarci, sono condensati anni di riflessioni maturate durante il mio cammino di crescita. Ho scelto la poesia come canale divulgativo perché sono convinto che essa arrivi al cuore direttamente.
Come una fotografia congela un movimento, così la poesia ferma una emozione riportandola alla luce.
Nella poesia trovo una dimensione umana, in questo mondo dove tutto corre, dove tutto è già finito ancora prima di iniziare.
Un film, formato da migliaia di fotogrammi, dà l’illusione del movimento così come lo scorrere della vita, composta da infiniti istanti, dà l’illusione del tempo. Nella realtà tuttavia un film è composto da fotogrammi e la vita di momenti che corriamo il rischio di non vedere e sentire.
Ogni attimo è unico e irripetibile, la vita è “adesso”: quello che è appena accaduto non c’è più!  Ciò che deve avvenire non è ancora capitato, non esiste!
Il profetico “Qui E Ora” delle filosofie orientali, il “ Carpe Diem” di Orazio continuano a ricordarmelo. La mia poesia è intrisa di attimi, il mio stesso nome significa in sanscrito “Momento”.
Questa raccolta di poesie è suddivisa in quattro momenti.
SQUARCI, che dà il titolo al libro, è uno scorcio di realtà/illusione, in cui ognuno trova ciò che vuole trovare.
In SIAMO L’AMORE interviene l’amore universale, la vita, il fiato che alimentò la nascita dell’universo.
UN FREMITO DI VITA canta la storia dell’innamoramento, l’attimo bruciante che avvampa. Un momento in cui si è vivi e in contatto: fusi con l’altro, la prova generale per assaporare la vera unione con il divino che alberga dentro ognuno di noi.
Infine in PER… ho voluto raccogliere una serie di poesie dedicate ad amici, situazioni, paesaggi, stati emotivi e spirituali, insomma canti che ho scritto PER…
L’ appendice una sorta di bonus track in cui ho inserito alcuni haiku liberi.

“Prefazione Squarci”

L’appartenenza è una scatola vuota
Che si riempie di tutto
È una musica composta di silenzi
In cui risuona tutta la nostra armonia
[…]

Con queste parole Antonio Gianfranco Gualdi, Vipal, apre la sua raccolta. E le sue prime parole sono un manifesto programmatico di appartenenza, orgogliosa appartenenza al genere umano.
A partire da questo, e dal percorso di autocoscienza e consapevolezza racchiuso nel nome di Vipal, Antonio Gianfranco Gualdi pone le basi del suo rapporto con la vita e quindi, di conseguenza, con la poesia che della vita rappresenta la forma. E così come la sua vita è segnata da interrogazioni e riflessioni, la sua è una poesia di ricerca, continua e attenta, che si snoda in molteplici luoghi
e modi. Per primo di certo il corpo e l’anima, che trovano nella pelle il loro equilibrio, nella pelle strumento tattile di incontro con il mondo.

Chiudo gli occhi ti vedo
Sfioro l’aria ti tocco
Tendo l’orecchio sento
Battere il tuo cuore
(Ti sento)

Il percorso di Antonio Gianfranco Gualdi inizia dalla propria definizione dell’essere attraverso una ontologia negativa: nella discussione e nel dialogo con una seconda persona, che possa essere una donna vera o reale, uno specchio o semplicemente una parte della propria intimità, l’autore si mette a nudo raccontando come prediliga di certo essere piuttosto che apparire. Insieme a questo vi è la necessaria acquisizione di una propria autodeterminazione, che permetta di strutturare in maniera definitiva la propria essenza. D’altronde dirla comporta realizzarla, e alla realizzazione del sé mira l’autore.

Scusa non voglio
Inchiodare l’aria
Oscurare la gioia
Ingabbiare la fantasia
Scusa… non voglio!
Essere ciò che non intendo
Fingere ciò che non sono
Imparare ciò che non sogno
Io sono
Come tu non mi vuoi
Sono ciò
Che non accetti di te
(Come non mi vuoi)

La riflessione dell’autore si muove quindi su un terreno più difficile di più ampio respiro. L’uomo, l’umanità, la lega umana di cui si dice membro è qualcosa in continuo divenire. Antonio Gianfranco Gualdi si chiede attraverso la poesia quanto i suoi turbamenti possano essere amplificati dal consesso degli uomini. E la risposta è spesso positiva: nonostante le peculiarità, gli interrogativi mantengono una reciprocità che si stende sulla terra come una solida roccia sulla quale costruire. Ecco quindi che le incertezze, le paure le speranze di una stirpe costretta a imparare in fretta a leccarsi le ferite e a crescere con le proprie paure, compagnie di una vita di cui solo la fine è certa. Gli uomini sono in fondo poco più che relitti, se possono essere barche alla deriva, gusci di noce nel bel mezzo dell’oceano, ciò non toglie che a loro rimane sempre la vita, e tutto ciò non prova l’esistenza della dignità di essere vissuta.

[…]
Lentamente si sfiorano
Accarezzandosi le ferite
Coccolandosi le paure
Dimentichi ritornano
All’apparente
Vita
È un attimo
Dopo
È di nuovo tempesta
[…]
(Relitti)

Dove trovare una risposta a tali inquietanti interrogativi? Dove poter andare a dare un senso alla propria vita? La risposta, l’unica possibile, è nella ricerca di una armonia con la natura, la rifondazione di alcuni principi e valori primigeni. Il sincretismo tra il mondo interiore e quello esteriore, l’equilibrio tra questi due elementi, il tentativo di strappare il velo di Maja delle illusioni si fonde in un nuovo e rigenerato rapporto con la natura. E la poesia non può far altro che riportare la necessità di tale palingenesi e fissarla sulla pagina.

Insieme alla signora delle piante
Ascolto il loro ritmo
La sua commozione
Salendo agli occhi che vedono
Agita la mia linfa
Di albero che guarda
Cammina
Scrive
(La signora delle piante)

Flavia Weisghizzi