Vipal Antonio Gianfranco Gualdi

Prefazione Squarci

L’appartenenza è una scatola vuota

Che si riempie di tutto

È una musica composta di silenzi

In cui risuona tutta la nostra armonia

[…]

Con queste parole Antonio Gianfranco Gualdi, Vipal, apre la sua raccolta. E le sue prime parole sono un manifesto programmatico di appartenenza, orgogliosa appartenenza al genere umano.
A partire da questo, e dal percorso di autocoscienza e consapevolezza racchiuso nel nome di Vipal, Antonio Gianfranco Gualdi pone le basi del suo rapporto con la vita e quindi, di conseguenza, con la poesia che della vita rappresenta la forma. E così come la sua vita è segnata da interrogazioni e riflessioni, la sua è una poesia di ricerca, continua e attenta, che si snoda in molteplici luoghi
e modi. Per primo di certo il corpo e l’anima, che trovano nella pelle il loro equilibrio, nella pelle strumento tattile di incontro con il mondo.

Chiudo gli occhi ti vedo
Sfioro l’aria ti tocco
Tendo l’orecchio sento
Battere il tuo cuore
(Ti sento)

Il percorso di Antonio Gianfranco Gualdi inizia dalla propria definizione dell’essere attraverso una ontologia negativa: nella discussione e nel dialogo con una seconda persona, che possa essere una donna vera o reale, uno specchio o semplicemente una parte della propria intimità, l’autore si mette a nudo raccontando come prediliga di certo essere piuttosto che apparire. Insieme a questo vi è la necessaria acquisizione di una propria autodeterminazione, che permetta di strutturare in maniera definitiva la propria essenza. D’altronde dirla comporta realizzarla, e alla realizzazione del sé mira l’autore.

Scusa non voglio
Inchiodare l’aria
Oscurare la gioia
Ingabbiare la fantasia
Scusa… non voglio!
Essere ciò che non intendo
Fingere ciò che non sono
Imparare ciò che non sogno
Io sono
Come tu non mi vuoi
Sono ciò
Che non accetti di te
(Come non mi vuoi)

La riflessione dell’autore si muove quindi su un terreno più difficile di più ampio respiro. L’uomo, l’umanità, la lega umana di cui si dice membro è qualcosa in continuo divenire. Antonio Gianfranco Gualdi si chiede attraverso la poesia quanto i suoi turbamenti possano essere amplificati dal consesso degli uomini. E la risposta è spesso positiva: nonostante le peculiarità, gli interrogativi mantengono una reciprocità che si stende sulla terra come una solida roccia sulla quale costruire. Ecco quindi che le incertezze, le paure le speranze di una stirpe costretta a imparare in fretta a leccarsi le ferite e a crescere con le proprie paure, compagnie di una vita di cui solo la fine è certa. Gli uomini sono in fondo poco più che relitti, se possono essere barche alla deriva, gusci di noce nel bel mezzo dell’oceano, ciò non toglie che a loro rimane sempre la vita, e tutto ciò non prova l’esistenza della dignità di essere vissuta.

[…]
Lentamente si sfiorano
Accarezzandosi le ferite
Coccolandosi le paure
Dimentichi ritornano
All’apparente
Vita
È un attimo
Dopo
È di nuovo tempesta
[…]
(Relitti)

Dove trovare una risposta a tali inquietanti interrogativi? Dove poter andare a dare un senso alla propria vita? La risposta, l’unica possibile, è nella ricerca di una armonia con la natura, la rifondazione di alcuni principi e valori primigeni. Il sincretismo tra il mondo interiore e quello esteriore, l’equilibrio tra questi due elementi, il tentativo di strappare il velo di Maja delle illusioni si fonde in un nuovo e rigenerato rapporto con la natura. E la poesia non può far altro che riportare la necessità di tale palingenesi e fissarla sulla pagina.

Insieme alla signora delle piante
Ascolto il loro ritmo
La sua commozione
Salendo agli occhi che vedono
Agita la mia linfa
Di albero che guarda
Cammina
Scrive
(La signora delle piante)

Nella scrittura si compie il cammino, nelle poesie di Vipal che sanno diventare la parola concreta della materia dei sogni, il simbolo di un percorso la cui conclusione non è detta ma in fondo forse non è neppure così necessaria, inserendosi in un cerchio che non ha inizio e non ha fine, ma semplicemente un divenire che segna la scansione del nostro tempo.

Flavia Weisghizzi

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